Il Toro e la Lupa

Arah rientrò nel villaggio da Porta del Picchio e affrettò il passo per i vicoli insolitamente silenziosi. Per accorciare prese la via dei pellai. Passava di lì solo se doveva barattare pelli di pecora per un paio di calzari o quando, diretta alle botteghe dei lanaioli, era in cerca di coperte per il rigido inverno in cambio di lana appena tosata. Questa volta però non dovette asciugarsi gli occhi per i fumi della concia né tapparsi il naso per l’odore tipico della decomposizione organica. Poi imboccò via del mercato e proseguì a saltelli sui blocchi di pietra del marciapiede per evitare di scivolare nei solchi lasciati dalle ruote dei carri. Appena distinse i contorni del bue sacro scolpito sull’architrave (su entrambe le facce visibili) della porta principale, cominciò a invocare mentalmente la protezione del dio Mamerte, per il suo sposo e tutti gli altri soldati che stavano per partire. Ora Erennio poteva contare sul consenso del dio della guerra, oltre che sul nuovo scutum costruito dalle anziane canestraie ricoprendo con strati di pelle di capra la base ovale fatta di giunchi intrecciati; i rinomati giunchi del fiume Sagrus. Invero, lui era convinto che il suo scutum sarebbe bastato a proteggergli sia il volto che il petto dai micidiali fendenti del gladio romano. Era altrettanto sicuro insieme a tutti quelli della sua touto, che, prima o poi, il toro sarebbe riuscito a inforcare la lupa, cosicché la sua gente non avrebbe più dovuto temere Roma. Arah, sollevata per aver assolto al dovere della preghiera, varcò l'uscio della propria casa, appese l’otre e nascose la lancia rotta, riempì una ciotola con l’acqua della fonte sacra alle Ninfe delle sorgenti e la porse al piccolo Gaio, baciandolo sulla fronte. Si rallegrò del fatto che non scottasse quasi più e del suo aspetto sensibilmente migliorato. Poi si accostò alla dispensa e iniziò a riempire una grossa bisaccia: una sacca con forme di formaggio stagionato e panetti di farro freschi di mattina, l’altra con carne secca e salata di capra. Quando ebbe finito, chissà perché, le balenarono alla mente le parole del caro padre defunto: “Ricordati di portare sempre con te la piccola arca e di non aprirla mai per nessuna ragione al mondo”.

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